IL TRIBUNALE 
 
    Con decreto datato 8 marzo 2013 il P.M. dispose che K.  M.  fosse
tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 648 c.p.
e 474 c.p. commessi in Genova il 9 novembre 2012. L'imputato e' stato
accusato, in particolare, di aver acquistato o comunque ricevuto capi
di abbigliamento recanti il marchio contraffatto  di  note  «griffes»
internazionali e di averli detenuti al fine di farne commercio. 
    All'udienza del 12 novembre 2013, a mezzo del difensore munito di
procura  speciale,  l'imputato  ha  avanzato  istanza   di   giudizio
abbreviato, e' stato  dunque  acquisito  il  fascicolo  del  Pubblico
Ministero. Il procedimento e' stato poi rinviato al 14 novembre  2013
(data in cui le parti hanno formulato le rispettive  conclusioni)  ed
infine alla data odierna. 
    Ad avviso di questo Giudice, le emergenze degli atti conducono ad
un'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato. E'  provata,
infatti, la contraffazione dei marchi ed  e'  provato  che  le  merci
erano nella disponibilita' di K. M. il quale le deteneva:  in  parte,
in un borsone  che  aveva  al  seguito  quando  fu  avvicinato  dagli
operanti; in parte, nella propria abitazione,  sita  in  via  F..  Lo
stesso imputato dichiaro' spontaneamente agli operanti di  essere  il
proprietario delle merci e, nel giudizio abbreviato,  tali  spontanee
dichiarazioni sono utilizzabili  ai  fini  della  decisione.  Che  la
detenzione fosse finalizzata  alla  vendita  emerge  dalla  quantita'
complessiva e dalle caratteristiche dei prodotti. 
    Il  P.M.  ha  contestato  all'imputato  la  recidiva,  reiterata,
specifica ed infraquinquennale.  La  circostanza  aggravante  di  cui
all'art. 99 comma 4 c.p. e' sussistente. Si tratta pero' di  recidiva
reiterata e specifica, ma non infraquinquennale. 
    Dall'elenco dei precedenti  dattiloscopici  risulta  infatti  che
l'odierno imputato e' stato fotosegnalato sotto le generalita' di  K.
M. nato in Senegal il 12 febbraio  1977,  oltre  che  il  giorno  dei
fatti, anche in altre circostanze ed in particolare:  il  3  febbraio
2000 a Genova, il 4 giugno 2000 a Voghera, l'8 aprile 2004 a Tortona.
Il certificato del casellario a nome di K. M. nato in Senegal  il  12
febbraio 1977 riporta condanne per reati commessi nelle date  in  cui
furono eseguiti i rilievi fotosegnaletici  sicche'  non  v'e'  dubbio
alcuno che quel certificato si riferisca alla persona  dell'imputato.
Nello stesso compaiono tre condanne per violazione degli artt. 648  e
474 c.p. l'ultima delle quali e' divenuta irrevocabile il 28 febbraio
2005 (piu' di cinque anni prima della data del fatto per cui oggi  si
procede). 
    Le merci furono acquistate per essere detenute e commercializzate
e  quindi  i   reati   oggetto   di   imputazione   furono   commessi
nell'esecuzione di un disegno  criminoso  unitario.  Piu'  grave,  in
ragione della pena edittale, e' il reato di cui all'art. 648 c.p. 
    Ad avviso della scrivente in relazione a tale reato  puo'  essere
applicata la circostanza attenuante  speciale  di  cui  all'art.  648
comma 2 cp.. La quantita' delle merci, infatti, non era  elevata  (in
tutto circa 80, tra maglie  giubbotti  e  felpe)  e  si  trattava  di
prodotti di pessima qualita' e di modestissimo valore economico. Tali
considerazioni  connotano  il  fatto  in  termini   di   «particolare
tenuita'» e la constatazione  che  l'imputato  abbia  gia'  riportato
condanne per reati analoghi non osta certo ad un tale inquadramento. 
    Nel caso  di  specie,  tuttavia,  la  recidiva  non  puo'  essere
«disapplicata»  perche'  si  tratta  di  una  recidiva  reiterata   e
specifica, significativa di una piu' accentuata colpevolezza e di una
maggiore pericolosita' del  reo  il  quale,  all'evidenza,  trae  dal
commercio  illegale  di  merci  contraffatte  i   propri   mezzi   di
sostentamento. 
    Ai  fini  della  determinazione  della  pena  si   rende   dunque
necessario operare un giudizio di bilanciamento  tra  la  circostanza
attenuante speciale di cui all'art. 648 comma 2 c.p.  e  l'aggravante
di cui all'art. 99 comma 4 c.p., giudizio che, ai sensi dell'art.  69
ultimo comma c.p. (come sostituito dall'art. 3 della  legge  251/05),
non   puo'   concludersi   con   una   valutazione   di    prevalenza
dell'attenuante sulla recidiva. 
    Tale divieto di prevalenza conduce ad individuare la  pena  entro
la cornice edittale prevista dall'art. 648 comma 1  c.p.  (reclusione
da due a otto anni e multa da  €.516  a  €.10.329)  ben  superiore  a
quella che sarebbe applicabile invece in  caso  di  prevalenza  della
attenuante (reclusione fino a sei anni e multa fino a €.516). 
    Ad avviso della scrivente la  disposizione  di  cui  all'art.  69
comma 4 c.p. - la cui applicazione nel presente procedimento  produce
gli effetti sopra esposti - presenta profili di irragionevolezza tali
da porla in contrasto con i principi sanciti dagli articoli  3  e  25
della Costituzione. 
    Nella sentenza n. 201 del 5 novembre 2012 la Corte costituzionale
ha gia' avuto modo di occuparsi della disposizione in parola  e  l'ha
dichiarata illegittima «nella parte in  cui  prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di  cui  all'art.  73  d.p.r.
309/90 sulla recidiva di cui all'art. 99 comma 4 c.p.». 
    In questa sentenza la Corte ha ricordato che deroghe al  giudizio
di  bilanciamento  tra  circostanze  «sono  possibili  e'   rientrano
nell'ambito delle scelte del legislatore». Ha ritenuto  tuttavia  che
tali deroghe non possano «giungere a determinare un'alterazione degli
equilibri  costituzionalmente  imposti  nella  strutturazione   della
responsabilita'  penale»,  e  siano  suscettibili  di  sindacato   di
costituzionalita' «ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza  o
nell'arbitrio». 
    Tale situazione pare sussistere con  riferimento  al  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 648  comma  2
c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99 comma 4 c.p. 
    Anche in questo  caso  (come  nel  caso  dell'attenuante  di  cui
all'art. 73 comma 5 d.p.r. 309/90) vi e' una divaricazione  rilevante
tra le cornici edittali stabilite dal legislatore per la  fattispecie
base  e  per  quella  circostanziata:  la  pena   prevista   per   la
ricettazione di «particolare tenuita'», infatti, non ha un  minimo  e
invece il giudizio di bilanciamento imposto dall'art. 69 u.c.  impone
di applicare ai recidivi reiterati ritenuti  responsabili  di  questo
tipo di ricettazione una pena detentiva non inferiore ai due anni  di
reclusione. 
    Cio' comporta che il giudice non possa  graduare  il  trattamento
sanzionatorio in relazione all'obiettivo disvalore del  fatto  e  che
possano  essere  applicate  pene  identiche  pur   in   presenza   di
ricettazioni  aventi  ad  oggetto  beni  di  valore  economico  assai
diverso. 
    Per  effetto  della  disposizione  impugnata  puo'  esservi   una
equiparazione nel  trattamento  sanzionatorio  di  ricettazioni  «non
tenui» commesse da un  incensurato  e  ricettazioni  di  «particolare
tenuita'» commesse da un recidivo reiterato. Inoltre, l'autore di  un
fatto non lieve da punire con il minimo edittale della pena stabilita
dall'art.  648  comma  1,  che  sia  meritevole   delle   circostanze
attenuanti generiche, potrebbe ottenere un trattamento  sanzionatorio
piu' favorevole dell'autore di un  fatto  particolarmente  tenue  cui
siano pure riconosciute le attenuanti generiche, ma che sia  recidivo
reiterato. 
    A cio' deve aggiungersi che la disposizione di  cui  all'art.  69
ultimo comma  fa  si'  che,  in  concreto,  vengano  assoggettate  al
medesimo trattamento sanzionatorio (il  minimo  della  pena  prevista
dall'art. 648 comma 1 c.p.) tutte  le  ricettazioni  di  «particolare
tenuita'» commesse da imputati la cui recidiva  reiterata  non  possa
essere disapplicata. Comporta quindi che sia inflitta una pena uguale
per fatti il cui disvalore e' diverso, senza  che  il  giudice  possa
attribuire concreto rilievo neppure alla maggiore o  minore  gravita'
del danno patrimoniale provocato alla persona  offesa.  Si  pensi  al
diverso allarme sociale  che  comporta  la  ricettazione  di  veicoli
rubati (anche di valore modesto) rispetto alla ricettazione  di  beni
smarriti o alla vendita al minuto di prodotti a marchio contraffatto,
dettata per lo piu' da esigenze di sopravvivenza. 
    La norma censurata si pone cosi' in contrasto con il principio di
ragionevolezza  quale  particolare   accezione   del   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3  Cost.  in  termini  non  dissimili  da
quelli gia' evidenziati dal Giudice delle  Leggi  nella  sentenza  n.
251/2012. 
    La norma impugnata appare anche in contrasto con l'art. 25  comma
2 della Costituzione. 
    Sul punto e'  sufficiente  richiamare  le  considerazioni  svolte
dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra citata: «la  recidiva
reiterata  riflette  i  due  aspetti  della  colpevolezza   e   della
pericolosita'» e tali aspetti, pur pertinenti al reato,  non  possono
assumere,  «nel  processo  di  individualizzazione  della  pena,  una
rilevanza tale da renderli comparativamente  prevalenti  rispetto  al
fatto oggettivo: il principio di offensivita' e' chiamato ad  operare
non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma  anche
rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla  individualizzazione
della pena e sulla sua determinazione finale. Se cosi' non fosse,  la
rilevanza dell'offensivita' della fattispecie base potrebbe risultare
«neutralizzata» da un processo di individualizzazione prevalentemente
orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosita'». 
    Il vigente testo dell'alt. 69 comma  4  c.p.  (del  quale  questo
Giudice deve fare applicazione al fine  di  determinare  la  pena  da
infliggere all'imputato) appare dunque in contrasto con gli  articoli
3 e 25 della Costituzione nella parte in cui prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 648  comma  2
c.p. sulla recidiva di  cui  all'art.  99  quarto  comma  del  codice
penale.